Cecil Pinsent: i primi passi di un architetto inglese nella Toscana di inizio Novecento
L’architetto inglese Cecil Pinsent (1884-1963) è oggi riconosciuto come una figura chiave del revival dei giardini formali in Italia. Ideatore di progetti come Villa I Tatti, Villa Le Balze e La Foce – considerati tra i capolavori del primo Novecento nell’arte del giardino – Pinsent seppe interpretare le aspirazioni di committenti colti e facoltosi che desideravano ricreare sulle colline toscane lo splendore dei giardini rinascimentali e barocchi italiani. Lavorando a stretto contatto con intellettuali della levatura di Bernard Berenson e Iris Origo, sviluppò un modello di grande successo, imitato nei decenni successivi in Italia e negli Stati Uniti per la sua capacità di offrire una lettura moderna e al tempo stesso evocativa di celebri esempi del passato, con quella sensibilità romantica tipica degli architetti inglesi dei primi decenni del Novecento.
Nonostante la sua rilevanza, il nome di Pinsent è rimasto a lungo ai margini della storia dell’architettura e del paesaggio. La vera riscoperta del suo lavoro risale agli anni Ottanta e Novanta, quando la giornalista Ethne Clarke rintracciò il suo archivio personale presso la nipote dell’architetto. Oggi quel fondo, conservato presso il Royal Institute of British Architects (RIBA), rappresenta una fonte di straordinario valore, raccogliendo circa 120 disegni, due diari e una decina di album fotografici che Pinsent compose con meticolosità nel corso della sua vita.
Questa mostra invita a scoprire un volto meno conosciuto di Pinsent, attraverso materiali in gran parte inediti. Il percorso espositivo si focalizza sugli anni della formazione e sui progetti d’esordio, quando l’architetto muoveva i primi passi nella vivace comunità di esuli angloamericani residenti a Firenze. L’obiettivo è di far emergere un ritratto sfaccettato di una figura piuttosto sfuggente: non solo un architetto raffinato, ma anche un uomo colto, curioso e appassionato di arte, musica e letteratura; un viaggiatore instancabile, capace di intrecciare una fitta rete di relazioni nel mondo culturale europeo.
Le immagini selezionate accompagnano i visitatori in un percorso che unisce la dimensione biografica a quella professionale, restituendo lo sguardo di un osservatore attento, in grado di cogliere l’anima più profonda dei luoghi e di tradurla nelle sue opere. Disegni e fotografie evocano con grande vividezza le atmosfere del tempo, ma anche l’intimità dei legami umani che Pinsent seppe coltivare con sensibilità, ironia e discrezione.

Cecil Pinsent ai piedi della scalinata di Villa Le Balze, Fiesole, 20 agosto 1922
RIBA Collections, PC, A590, 1 (1910-1922), 20 AUG. 1922.
I. Da Montevideo, a Londra, a Neuchâtel, a Rouen
Cecil Pinsent nacque nel 1884 a Montevideo, da genitori inglesi. Suo padre, imprenditore nel settore ferroviario, si era trasferito in Uruguay in cerca di nuove opportunità, favorito anche dalla presenza di alcuni parenti della moglie già stabiliti nel paese.
Quando Cecil aveva cinque anni, la famiglia fece ritorno in Inghilterra, stabilendosi a casa dello zio nel quartiere di Edgbaston, a Birmingham. In una delle prime fotografie degli album, lo si vede nel giardino di quella casa, insieme al padre Ross, alla madre Alice, ai fratelli Gerald e Sydney e alla sorella Frances: un’immagine che restituisce il ritratto di una tipica famiglia vittoriana benestante.
La permanenza a Birmingham fu tuttavia breve. Nel 1890 i Pinsent si trasferirono a Maresfield Gardens, un quartiere in espansione nella periferia settentrionale della cosmopolita Londra. Fin da bambino, Cecil manifestò una spiccata attrazione per il mondo costruito. Le sue fotografie rivelano uno sguardo curioso e attento verso gli edifici che punteggiavano il paesaggio della sua infanzia: rovine gotiche, antichi monumenti e dimore immerse in parchi romantici, così tipici della campagna inglese.
Nel giugno del 1901 Cecil intraprese il suo primo viaggio in Svizzera, accompagnato dal padre. Le fotografie scattate in quell’occasione rivelano una passione crescente per il Medioevo, ma anche il richiamo esercitato dalla natura, evidente nelle immagini delle “Gorges de l’Areuse” e del lago di Neuchâtel. In quegli anni, l’alpinismo e il turismo naturalistico cominciavano a diffondersi tra la borghesia europea, in particolare quella inglese, e la montagna era sempre più vissuta come luogo di svago e contemplazione estetica.
Sulla via del ritorno, padre e figlio fecero tappa a Rouen, in Normandia, dove Cecil immortalò con la sua macchina fotografica la celebre cattedrale gotica, esempio dell’architettura medievale francese. Nelle vedute riprese dalla Torre dell’Orologio e dalle strade cittadine, dedicò particolare attenzione alla guglia in ghisa progettata da Jean-Antoine Alavoine circa ottant’anni prima: evidentemente, anche i risultati dell’ingegneria ottocentesca, così come quelli raggiunti dai mastri medievali, suscitavano in lui grande entusiasmo.

La cattedrale di Rouen, fotografata da Cecil Pinsent nel giugno 1901
RIBA Collections, PC, A553/143, JUNE 1901.
II. La formazione di un architetto inglese a inizio Novecento
Nel 1900 Cecil decise di interrompere gli studi al Malbourough College, un istituto tradizionalmente orientato alla formazione di futuri giuristi e politici. Contrariamente alle aspettative del padre, che auspicava per lui un percorso accademico a Cambridge, scelse invece di seguire la propria passione per l’architettura, iscrivendosi alla Architectural Association di Londra. In questa scuola, la didattica prevedeva fin da subito lunghi tirocini presso studi professionali affermati e lezioni serali tenute dai tutor, che accompagnavano gli studenti lungo tutto il loro percorso. Al centro della formazione c’era la pratica del disegno: gli allievi imparavano a rappresentare un progetto in pianta, sezione, alzato e prospettiva, oltre ad acquisire i metodi per rilevare con precisione sia l’impianto generale che i dettagli architettonici più minuti di un edificio.
Uno dei primi incarichi assegnati a Cecil come studente della Architectural Association fu il rilievo di una casa di campagna nel Norfolk, affidatogli da William Wallace, architetto di origine scozzese che lo aveva accolto come tirocinante nel suo studio a Londra, al 52 di Old Bond Street. Cinque scatti della casa, realizzati nella primavera del 1902, evocano un momento che, dietro alla sua apparente semplicità, ebbe per lui un valore decisivo. Dei disegni eseguiti in quell’occasione non resta traccia, ma è probabile che, nel giro di pochi anni, la sua tecnica si fosse affinata e fosse rivolta a soggetti via via più complessi.
Non appena ne ebbe l’opportunità, Cecil tornò infatti nei luoghi visitati da ragazzo con il padre, per esercitarsi e mettere alla prova quanto appreso. Nell’agosto 1904 si trovava a Rouen, dove si dedicò al disegno dei dettagli decorativi della cattedrale di Notre-Dame. Dopo tre anni di apprendistato, il suo interesse per l’architettura gotica rimaneva immutato: le scuole inglesi dell’epoca erano ancora profondamente influenzate dagli scritti di John Ruskin e da un entusiasmo per l’arte medievale, idealizzata come espressione di un’etica superiore. Ruskin, così come molti architetti contemporanei a Pinsent, vedeva nelle grandi cattedrali del Duecento e del Trecento il risultato di una maestria artigianale vissuta con fervore quasi religioso, capace di generare edifici intrisi di spiritualità, in netta antitesi con la pratica architettonica moderna, fredda e impersonale. Non sorprende, quindi, che tra le sue mete privilegiate nei primi anni del Novecento figurino città come Warwick, Ely e Canterbury, custodi di straordinari esempi del tardo-gotico britannico. Tuttavia, non erano solo gli edifici monumentali ad affascinarlo: Cecil era attratto anche dalle architetture vernacolari, più semplici ma forse da lui percepite come più autentiche. Lo dimostrano fotografie e schizzi dedicati alle caratteristiche case a graticcio in legno, che rivelano un’attenzione per quel patrimonio costruttivo che, negli anni appena precedenti, aveva ispirato il movimento Arts and Crafts e influenzato l’opera di architetti come Philip Webb, Richard Norman Shaw e Edwin Lutyens.
Sempre nel 1904, ormai ventenne, Cecil intraprese un nuovo viaggio per l’Europa, questa volta in compagnia del fratello Sidney. Le fotografie scattate nel giugno di quell’anno lo ritraggono ancora una volta in Svizzera, mentre scala il Grimsel Pass e attraversa divertito il ghiacciaio del Rodano. Anche in quell’occasione, il suo sguardo si soffermò su montagne e vallate, restituendo la meraviglia per quei paesaggi alpini che avrebbe continuato a esplorare con entusiasmo nei decenni successivi, fino a decidere di trascorrere proprio lì gli ultimi anni della sua vita.

Pinsent consulta una guida Baedeker durante un’escursione in Svizzera, giugno 1904
RIBA Collections, PC, A554/28, JUNE 1904.
III. Firenze, 1906-1907
Nel settembre 1906, Cecil fotografò un edificio georgiano a 54 di Bedford Square, a pochi passi dal British Museum: era lo studio di Edwin Thomas Hall, una delle firme più autorevoli dell’architettura londinese, dove lavorava già da qualche anno, mentre frequentava la Royal Academy School. In una pagina dell’album fotografico compaiono alcuni giovani colleghi di Cecil in maniche di camicia, in posa, davanti a grandi tavoli da disegno. Si riconosce anche il titolare dello studio, immortalato con sguardo intenso e autoritario, affiancato dai soci Mercer e Kempster. Questi ultimi sembrano più rilassati e cordiali di Hall e indossano grembiuli da lavoro per proteggere i loro eleganti abiti dalle inevitabili macchie d’inchiostro. Cecil non appare nelle immagini, ma la sua presenza si percepisce dietro la macchina fotografica: in quella giornata settembrina, il giovane architetto voleva fissare volti e luoghi che avevano segnato l’inizio della sua carriera, mentre si preparava a partire per l’Italia.
Pochi mesi prima aveva vinto una prestigiosa borsa di studio – la Architectural Association’s Banister Fletcher Bursary – che gli avrebbe permesso di intraprendere il suo primo viaggio nella penisola, tappa fondamentale nella formazione di un architetto britannico dell’epoca. Nelle pagine successive, Cecil incollò la fotografia scattata per il passaporto. Nell’ottobre 1906 si trovava già a Firenze, ospite della pensione della signora Rodriguez in Via dei Serragli.
I primi giorni in Toscana furono per Cecil un’esperienza di scoperta continua. Fotografò i pittoreschi ‘renaioli’ sulle rive dell’Arno, i venditori ambulanti di Ponte alla Carraia e visitò i principali monumenti della città, tra cui il Duomo, la cui facciata neogotica era stata completata in stile soltanto pochi decenni prima. Come nei viaggi in Inghilterra e in Francia negli anni precedenti, anche il soggiorno fiorentino rappresentò un’occasione per esercitarsi nel disegno e per affinare, attraverso questa pratica, le competenze necessarie alla professione. Armato di compasso, carta, matita, penna e acquerelli, si soffermava su ciò che più lo colpiva: dal monumento sepolcrale di Carlo Marsuppini a Santa Croce, alla cappella cinquecentesca dei Niccolini nella stessa chiesa, fino al Palazzo Nonfinito e a elementi di arredi tardo barocchi, come il badalone della Badia fiorentina. Sebbene i soggetti fossero rappresentati con grande perizia tecnica, la loro selezione appare casuale e riflette l’indecisione tipica di un giovane ancora in cerca di una direzione. Cecil non aveva ancora maturato un gusto definito, né un’estetica coerente: tutto ciò che si discostava dalla sua quotidianità sembrava attrarlo e forse è proprio questa curiosità, un po’ onnivora, il filo conduttore delle sue esercitazioni fiorentine.
Durante le sue esplorazioni, riuscì persino a salire sul tetto della chiesa di Santo Spirito, un’esperienza che lo colpì profondamente. Con la sua macchina fotografica, immortalò ciò che lo circondava: un’amica in abiti vittoriani accanto alla cupola, le ampie vedute della città, incorniciate dai coppi, ma anche dettagli più tecnici, catturati con cura e attenzione. Tra questi, una fotografia del sottotetto della chiesa con le volte brunelleschiane rivela molto del suo approccio all’architettura: Cecil non si limitava ad appezzare aspetti superficiali, ma era interessato a comprendere a fondo la logica statica e costruttiva dei capolavori dell’architettura rinascimentale che aveva l’opportunità di osservare e studiare a Firenze. Di lì a pochi anni, sarebbe proprio stata la pratica di cantiere, il contatto diretto con il lavoro delle maestranze, a coinvolgerlo ed entusiasmarlo sempre di più.

La cupola della chiesa di Santo Spirito, a Firenze, novembre 1906
RIBA Collections, PC, A555/54, NOV. 1906.
IV. In Toscana con gli Houghton
Cecil non era solo nel suo viaggio: lo accompagnarono Edmund e Mary Houghton, amici di famiglia molto più anziani di lui. Per loro non si trattava della prima esperienza in Italia, perché da anni trascorrevano abitualmente lunghi periodi a Firenze, in un appartamento in via dei Bardi 32 nei pressi di Ponte Vecchio. Tre fotografie, datate aprile 1909, mostrano Mary, l’amica Gertrude Howells e Cecil sorridenti, affacciati alla finestra dell’appartamento, con l’iconico ponte sullo sfondo.
L’appartamento fiorentino degli Houghton era il punto di partenza per frequenti escursioni nella campagna toscana, rigorosamente in automobile. E, infatti, Cecil e gli Houghton intrapresero a bordo di una De Dion-Bouton diverse escursioni in terra senese, toccando San Galgano, Siena, le Alpi Apuane e Volterra. Alcune fotografie li raffigurano vestiti di tutto punto, il giorno di Natale, mentre brindano in riva al fiume Frigido, non lontano da Massa e Carrara. Altre, invece, raccontano il fascino che il paesaggio toscano esercitava sul giovane architetto e illustrano la città di Siena, vista dalla torre del Mangia, le crete senesi, le brulle campagne che circondano San Giminiano e le suggestive rovine dell’abbazia di San Galgano.
Infine, alcune pagine dell’album documentano il viaggio a Venezia con l’amato fratello Jerry. L’ultima fotografia, scattata dal fratello nell’aprile 1907, ritrae Pinsent sotto i cavalli di San Marco, mentre contempla la laguna e osserva con attenzione il grande cantiere allestito davanti alla basilica. Proprio in quegli anni, si stava infatti concludendo la ricostruzione del campanile, crollato tragicamente nel 1902 a seguito di un cedimento strutturale.

Cecil Pinsent sotto i cavalli di San Marco, aprile 1907
RIBA Collections, PC, A555/124, APR. 1907.
V. Cecil, Mary Berenson e Geoffrey Scott
Durante i mesi trascorsi a Firenze, gli Houghton incoraggiarono Cecil a trovare il proprio spazio all’interno della vivace e numerosa comunità di stranieri che viveva nella città. Tra questi, molti erano inglesi e americani che avevano scelto di trasferirsi in Italia, attratti dal clima mite, dai vantaggi economici e, in alcuni casi, dal desiderio di studiare il Rinascimento o di intraprendere attività commerciali nel florido mercato dell’antiquariato. Figura di spicco di questo ambiente era Bernard Berenson, che, insieme alla moglie Mary Whitall Smith, accoglieva regolarmente intellettuali, scrittori, studiosi e artisti nella loro residenza conosciuta come “I Tatti”, situata a Settignano, sulle colline che circondano Firenze. In quella casa si discuteva di cultura e arte, si confrontavano attribuzioni e collezioni, ma non mancavano pettegolezzi sui personaggi eccentrici della colonia angloamericana in Toscana.
Il 13 gennaio 1907 Cecil fu ospite dei Berenson per la prima volta. Mary annotò subito sul suo diario personale: “Un architetto, giovane e carino, di nome Cecil Pinsent è venuto a farci visita e l’ho trovato [a I Tatti] quando sono rientrata. È di bell’aspetto e sembra in gamba, come se fosse stato cresciuto da brave persone. Bernard ha detto che è anche intelligente” (I Tatti, MB, Jan. 13, 1907).
Cecil suscitò in Mary un interesse particolare, tanto da spingerla a prenderlo sotto la propria ala protettiva. Nelle settimane seguenti lo accompagnò a visitare i principali musei fiorentini e alcune ville di amici angloamericani. Come riportato ancora nel suo diario, per Cecil Firenze era una “rivelazione, più per i suoi abitanti inglesi, che per la bellezza della città”. Mary lo percepiva come un giovane ancora incerto sul proprio futuro, non del tutto convinto di voler intraprendere la carriera da architetto. Più di ogni altra cosa, Cecil sembrava animato da un forte desiderio di viaggiare: “se avesse 1.000 sterline all’anno, viaggerebbe, soprattutto in Oriente. La gente lo interessa, così come i pensieri insoliti. Ha modi piacevoli ed è bello, in un certo senso fragile” (I Tatti, MB, Jan. 19, 1907; Jan. 20, 1907).
Dalle annotazioni di Mary, si intuisce che stesse osservando Cecil con crescente attenzione, perché in quel periodo lei e Bernard stavano valutando la possibilità di trasformare I Tatti da semplice dimora rurale in una villa sontuosa, capace di incarnare gli ideali rinascimentali che da anni studiavano e ammiravano. Ai suoi occhi, un giovane architetto anglofono, ancora inesperto e quindi facilmente influenzabile, poteva essere la figura ideale per dare avvio al progetto.
Poco dopo il ritorno di Cecil in Inghilterra, Mary lo incontrò a Londra, forse per proporgli formalmente l’incarico e invitarlo a rientrare in Italia. Tra le condizioni, con ogni probabilità, c’era anche quella di lavorare in collaborazione con un altro giovane promettente: l’inglese Geoffrey Scott, amico delle figlie di Mary.
Durante una visita a I Tatti, Geoffrey aveva colpito Mary per la sua intelligenza, ma anche la sua fragilità emotiva, una certa pigrizia e una tendenza alla malinconia. Se Cecil le era sembrato intraprendente e dotato di un forte senso pratico, Geoffrey appariva come un intellettuale in erba, capace di compensare le eventuali lacune culturali dell’architetto. Cecil accettò l’incarico e l’idea di lavorare al fianco di Geoffrey, con cui, poco tempo dopo, aprì uno studio, nonostante quest’ultimo non avesse alcuna formazione specifica in architettura. Fu l’inizio di un profondo sodalizio artistico, ma anche di una sincera amicizia. Nel 1914, quando lo studio Pinsent & Scott aveva ormai cominciato a consolidarsi, Geoffrey pubblicò un influente volume sull’Architettura dell’Umanesimo, che dedicò, non a caso, proprio a Cecil, come riconoscimento e coronamento del loro legame.
Anche Mary, da committente, si trasformò presto in confidente di entrambi, come lascia intuire la fitta corrispondenza conservata negli archivi di Villa I Tatti. In alcune lettere inviate da Cecil durante la prima guerra mondiale, si apprende che fu proprio lei ad aiutarlo a evitare il fronte, offrendogli sia sostegno morale che supporto materiale. In una simpatica missiva dell’8 giugno 1917, Pinsent la ritrasse in un disegno come la personificazione classica dell’Abbondanza, mentre lui osserva estasiato le bottiglie di champagne e le barrette di cioccolato che sgorgano dalla sua cornucopia (I Tatti, CP, 8 giugno 1917).

Una visita a Villa l’Oriolino, di proprietà della famiglia White, novembre 1906
RIBA Collections, PC, A555/63, NOV. 1906.
VI. I Tatti
Appena rientrato a Firenze, Cecil iniziò a occuparsi dei lavori commissionati da Mary Berenson per I Tatti. I primi interventi riguardarono soprattutto aspetti tecnici, con l’obiettivo di dotare la casa di tutti i comfort moderni: acqua corrente, una grande cucina attrezzata e l’elettricità in ogni stanza. Le sue lettere a Mary lo mostrano alle prese con le insubordinate maestranze italiane e in ritardo nella stesura dei disegni promessi a Bernard, che non mancò di esprimere il proprio disappunto.
Come spiegava lui stesso, gran parte del tempo era costretto a svolgere il ruolo di “capocantiere” (“foreman”) più che di architetto, spronando gli operai a evitare lavori approssimativi (I Tatti, CP, 20 agosto 1909). In una lettera all’amica Irene Lawley, del marzo 1913, raccontava di aver passato un’intera giornata “in fondo a un pozzo fangoso”, intento a “testare la fornitura d’acqua” dei Berenson (Hull, CP, 29 marzo 1913). Qualche mese dopo, nel giugno 1914, scriveva ancora a Irene: “Trascorro intere nottate a sudare sul tavolo da disegno, e molte giornate […] a imprecare contro operai testardi” (“pig-headed workmen”) (Hull, CP, senza data – forse giugno 1914, da Hotel Manin, Milano).
Tra un sopralluogo e l’altro in cantiere, dunque, le notti di Cecil erano dedicate al disegno, nel tentativo di dare forma concreta ai desideri dei Berenson. Nelle lettere a Mary, sembra che i progetti a cui lavorava giorno e notte riguardassero soprattutto gli interni (la distribuzione degli ambienti, gli arredi e la decorazione) e il suo album fotografico documenta puntualmente l’esecuzione dei lavori. Particolarmente significativo è lo scatto del Salotto, accompagnato da una breve annotazione in cui Cecil dichiarava di essersi ispirato agli stucchi sette-ottocenteschi della Villa Medicea del Poggio Imperiale.
Tuttavia, l’opera per cui Pinsent è maggiormente ricordato è il giardino. In un primo momento, Mary ne aveva affidato la progettazione al pittore Aubrey Waterfield, nipote della scrittrice e studiosa Janet Ross, ma nel 1910 lo sollevò dall’incarico perché orientato verso un parco romantico all’inglese (“wild garden on English lines”) (Liserre 2008, 43). Un giardino di questo tipo era in contrasto con il gusto di Mary e molti angloamericani residenti sulle colline di Firenze, che preferivano giardini ispirati a modelli rinascimentali e barocchi italiani, in sintonia con lo stile delle loro case.
Sebbene fosse alla sua prima esperienza in questo ambito, la progettazione di giardini formali rappresentava, per un architetto inglese di inizio Novecento, un tema di grande attualità. Era da poco stato pubblicato The Formal Garden in England di Reginald Blomfield (1892), un’opera che contribuì al revival del giardino all’italiana nel Regno Unito, in un momento in cui dominava ancora il gusto paesaggistico. Forse Cecil conobbe il libro di Blomfield tramite Charles Edward Mallows, architetto vicino al movimento Arts and Crafts, con cui collaborò appena prima di tornare in Toscana. Nello stesso periodo, in Italia, come in Inghilterra, circolavano numerosi volumi dedicati ai giardini storici italiani, come il celebre Italian Villas and Their Gardens di Edith Wharton, che fu pubblicato nel 1904, per rispondere al crescente interesse degli stranieri nel riscoprire, recuperare e reinterpretare questi tesori del passato.
Il giardino di Villa I Tatti rappresenta un esempio emblematico di questa tendenza, pur rivelando, anche a un primo sguardo, la coesistenza di elementi tipicamente inglesi, con altri legati alla tradizione italiana – o quantomeno all’idea che ne avevano gli angloamericani dell’epoca. Inglesi sono lo stile dell’arte topiaria, la disposizione informale del fruit garden, il fitto bosco di aceri, pioppi e querce che circonda l’area formale e la presenza, assai abbondante, di rigogliose piante rampicanti. Italiane, invece, sono le terrazze, la geometria delle aiuole, la scelta delle specie arboree – in particolare i cipressi allineati lungo il viale a est della proprietà – e le numerose strutture architettoniche dal gusto neo-barocco progettate da Cecil. Notevoli sono le nicchie e le superfici murarie rivestite con mosaici di pietre spugnose e ciottoli, ispirate a esempi che l’architetto ebbe modo di osservare e fotografare durante i suoi viaggi, come quello che effettuò nel maggio 1910 a Villa d’Este a Cernobbio, in Lombardia.
Questa originale sintesi incontrò grande favore nella cerchia dei Berenson e ben presto altri anglo-americani chiesero a Cecil di restaurare le loro residenze e progettare nuovi giardini formali ispirati a modelli italiani del passato. Anche se Geoffrey Scott non ebbe un ruolo operativo nei cantieri, come emerge dalla corrispondenza con Mary Berenson, rimase per Pinsent un importante punto di riferimento intellettuale. Questo legame affiora anche in una fotografia delle scale della limonaia di Villa I Tatti, dove Cecil trascrisse un poetico passaggio, tratto da The Architecture of Humanism di Scott: “La natura stessa ha voluto che una varietà di piante rampicanti mascherasse il peccato originale della sua esistenza”.

Villa I Tatti, pochi anni dopo l’inizio dei lavori di rinnovamento diretti da Cecil Pinsent, maggio 1910
RIBA Collections, PC, A590, 1 (1910-1922), MAY 1910.
VII. Viaggi, amici, passioni
Nonostante gli impegni lavorativi sempre più pressanti, Cecil non rinunciò mai a coltivare la sua grande passione: il viaggio. Dalla sua corrispondenza emerge chiaramente come ogni occasione fosse buona per accantonare il lavoro e partire in compagnia di amici italiani e stranieri, alla scoperta di nuove destinazioni. Emblematico, in questo senso, è il viaggio in automobile attraverso Austria e Germania nell’estate 1911, intrapreso insieme al cosmopolita Carlo Placci e un gruppo di angloamericani residenti a Firenze. Nel turbinio di figure incontrate in questa occasione, compare anche il poeta Rainer Maria Rilke, allora ospite a Duino presso la principessa Maria Thurn und Taxis. Proprio in quei giorni, la principessa era profondamente turbata per la salute dei figli, appena colpiti dalla scarlattina. In una lettera a Mary, Pinsent descrisse con tono divertito una scena grottesca: gli ospiti, in semicerchio all’ingresso del castello erano desiderosi di manifestare solidarietà alla padrona di casa, ma non vedevano l’ora di scappare da Duino, perché temevano di essere contagiati dai bambini. Nella stessa missiva Cecil tratteggia anche un vivido ritratto di Rilke, definendolo un “povero piccolo poeta” dal carattere malinconico, “perso e infelice come il Bianconiglio, e quasi in lacrime per aver visto infranta la pace nella vita che desidera ardentemente” – se non addirittura “comicamente patetico” (I Tatti, CP, 3 agosto 1911).
Durante quel viaggio, Cecil non mancò di visitare musei e teatri d’opera: apprezzò i dipinti di Dürer e assistette a una rappresentazione delle Nozze di Figaro di Mozart, suo compositore prediletto.
Nei primi anni del suo soggiorno in Italia, i viaggi rappresentarono per Cecil una costante occasione di crescita artistica. Ogni tappa gli offriva nuovi spunti per il disegno, che per lui era un esercizio di osservazione e al tempo stesso uno strumento di studio, utile ad ampliare il proprio repertorio. Fu questa motivazione a spingerlo, nel marzo 1912, a percorrere Roma con il taccuino in mano, disegnando a matita, con un tratto vivace ed espressivo, le facciate e gli interni delle chiese barocche, con i loro pomposi apparati decorativi. Col tempo, tuttavia, il suo sguardo si volse sempre più verso il paesaggio. I disegni degli anni successivi raffigurano infatti scorci della campagna toscana, le sue linee morbide e i contadini colti nella quotidianità della vita rurale.
Nel frattempo, Pinsent sviluppò legami profondi con alcuni dei suoi committenti fiorentini. Tra questi, una posizione particolare è occupata Iris Cutting (1902-1988), figlia della proprietaria di Villa Medici a Fiesole, Sybil Cutting, che affidò a Cecil il compito di rinnovare il giardino e progettare gli arredi di alcune stanze. Ben presto l’architetto divenne ospite fisso della villa e compagno di viaggio insostituibile per tutta la famiglia. Due vignette ironiche, conservate nella collezione del RIBA, raccontano il legame strettissimo instaurato con la giovane Iris, allora quattordicenne, durante una vacanza a Marina di Massa: la ritraggono mentre lavora a maglia, si avventura in canoa, legge poesie alla madre e guida spericolatamente per le strade della Toscana. Per lei, Cecil ideò anche la scenografia per uno piccolo spettacolo teatrale – forse scritto dalla stessa Iris – ambientato in un immaginario “Palazzo Reale”: ne resta traccia in un disegno a matite colorate, datato 1914, dove Cecil diede forma a un’ambientazione onirica e fiabesca, in sintonia con l’indole sognante della giovane Iris.
I due condividevano anche la passione per il teatro e, probabilmente, anche per gli spettacoli di marionette, come suggeriscono alcune lettere indirizzate alla cugina di Iris, Irene Lawley. Anche Irene fu una delle amicizie più importanti nella vita di Cecil e ne resta testimonianza nella ricchissima corrispondenza conservata presso l’archivio della Hull University. Nelle lettere emerge un Cecil spiritoso, sempre incline alla battuta e insolitamente aperto nel confidare sentimenti e dettagli della sua quotidianità. Con Irene, per la quale l’architetto aveva evidentemente un debole, parlava non solo del lavoro e dei suoi viaggi, ma anche della sua collezione di strumenti musicali, del suo rapporto con Geoffrey Scott e dei bizzarri personaggi incontrati in giro per il mondo. In una lettera del 15 febbraio 1916, ad esempio, raccontava con entusiasmo un’intera giornata trascorsa a I Tatti, realizzando mosaici in pietra “spugnosa”: “Che divertimento fare mosaici barocchi! Maneggiare fantastiche stalattiti, che a volte [sembrano] grasso che cade da una candela e a volte […] giunture di un braccio o di una gamba di un uomo: sempre con qualche strana forma che ti ricorda qualcosa, come intravedere draghi nella brace di un fuoco” (Hull, CP, 15 febbraio 1916).
Irene, dal canto suo, gli scriveva dei suoi viaggi, come quello in India, nel maggio 1920. Cecil rispose alle lettere dell’amica con una serie di “disegni cinematografici”, in cui cercava di tradurre in immagini il suo racconto “vivido ed emozionante, per non dire, a volte, comico”. Nel biglietto che accompagnava le vignette, scrisse a Irene: “ti prometto che l’evento [che mi hai raccontato] sarà ancora più emozionante nei disegni di quanto non lo sia stato in realtà” (Hull, CP, 19 giugno 1920).

Pinsent, Caricatura di Iris Cutting che porta Cecil a spasso, sulla strada di Massa, settembre 1916
RIBA Collections, PC, A590, 1 (1910-1922), SEPT. 1916.
VIII. Un architetto inglese in Toscana: alcune opere di Pinsent
Alla vigilia dello scoppio della seconda guerra mondiale, Cecil decise di lasciare l’Italia e abbandonare la professione di architetto. Prima di partire, tuttavia, il 24 marzo 1937, fotografò l’appartamento in cui aveva vissuto per quasi vent’anni, in via delle Terme 37. Gli scatti dello studio restituiscono l’atmosfera di quel piccolo mondo dove passava le nottate al lavoro, come raccontava a Irene (Hull, CP, senza data – forse giugno 1914, da Hotel Manin, Milano). Si nota una scrivania, con una macchina da scrivere e un sestante, strumento che evidentemente utilizzava per effettuare rilevi accurati per siti di grandi dimensioni. Accanto, un modello in legno del Tempietto di San Pietro in Montorio di Bramante – simbolo dell’architettura rinascimentale italiana – affiancato da due piccole sculture in terracotta e una coppia di eccentrici candelieri barocchi. Sulla parete opposta, una libreria piena di libri, per lo più romanzi, come risulta dall’inventario che redasse qualche anno dopo, quando già si era trasferito in Inghilterra (RIBA Collections, Diaries). Alle spalle della scrivania si intravedono infine due credenze, con ripiani occupati da modelli architettonici in gesso o plastilina: plastici che Cecil realizzava con le sue mani, per presentare i progetti ai committenti.
Nei due decenni precedenti, la sua attività professionale era stata intensa e svolta prevalentemente in Toscana per una clientela inglese e americana, legata al salotto culturale dei Berenson. Non mancarono, tuttavia, tentativi di ampliare il suo raggio d’azione. Nelle collezioni del RIBA Collections, ad esempio, si conserva il progetto per una country house nella contea inglese di Herfordshire, in un sobrio stile carolino (conosciuto anche “stile restaurazione”). Insieme a Geoffrey Scott, Cecil ne presentò una suggestiva raffigurazione ispirata alle incisioni inglesi del primo Settecento (come quelle celebri della Britannia Illustrata di Johannes Kip), popolando l’immagine di eleganti figure in abiti d’epoca, immerse in un piccolo giardino formale. In primo piano, si vedono anche due piante di tasso potate in forma di pavoni, evidente richiamo a all’arte topiaria dei giardini di Levens Hall. Il progetto riflette l’intento di reinterpretare con grazia e apparente disinvoltura la tradizione britannica, proprio come Cecil stava facendo in quegli stessi anni a Villa I Tatti, ispirandosi invece a modelli italiani.
Fu proprio questa capacità di muoversi su registri diversi, di comprendere i luoghi e coglierne lo spirito più profondo a caratterizzare le sue opere. Un esempio emblematico è il progetto per Villa Le Balze, a Fiesole, commissionato dal filosofo americano Charles Augustus Strong.
Colpisce, in questo progetto, l’abilità nell’articolare spazi complessi in un’area di ridotte dimensioni e fortemente scoscesa. Nonostante le complessità del sito, che si trovava alle spalle di Villa Medici, Cecil riuscì a creare ambienti di grande suggestione, come la scenografica scalinata barocca rivestita di pietre spugnose, cui contribuì non solo con il progetto, ma anche participando alla sua realizzazione concreta.
Altro capolavoro è il giardino de La Foce, commissionato da Iris Cutting, che, nel frattempo, era divenuta moglie del marchese Antonio Origo. Intorno alla villa padronale, posta al centro di una vasta tenuta in Val D’Orcia, Cecil progettò in più fasi un articolato giardino formale, in stretta collaborazione con Iris, appassionata di botanica e floricoltura. Mentre lui si occupava della parte architettonica, Iris selezionava piante e fiori, acquistando essenze da vivaisti inglesi, olandesi e francesi, e arricchendo stagione dopo stagione l’impianto “verde” di Pinsent di nuovi colori e profumi. Ma La Foce fu molto più della residenza degli Origo: rappresentò un ambizioso progetto sociale, volto a risollevare economicamente una delle aree più povere della Toscana. Gli Origo avviarono, a partire dal 1924, un’opera di bonifica e trasformazione del territorio – definito da Iris “alieno, inumano” – con il sogno di portare nella comunità prosperità agricola, economica e culturale (Origo 1971, p. 211). Promossero così la costruzione di nuove strade, poderi, scuole per i contadini, un cimitero e diversi spazi comunitari. A fianco di questa visione, ancora una volta, c’era Cecil, che progettò la rete viaria e ogni elemento architettonico necessario, contribuendo in modo decisivo alla metamorfosi di un paesaggio oggi celebrato in tutto il mondo.
Per tutta la sua vita, Cecil avrebbe continuato a tornare a La Foce e a I Tatti, profondamente legato a quei luoghi dove avevano preso forma le “esperienze più toccanti” della sua esistenza, orgoglioso del proprio lavoro e commosso dalla memoria di ciò che lì aveva costruito.

Cecil Pinsent segue la costruzione di una nuova scuola a La Foce, 20 maggio 1935
RIBA Collections, PC, A593, 3. 1931-1935, 20 MAY 1935.
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