La pelle della città: il paesaggio antropico toscano tra arte e fotografia (1950-1980)

La mostra digitale La pelle della città: il paesaggio antropico toscano tra arte e fotografia (1950-1980), a cura di Alessandra Acocella e Caterina Toschi, presenta il lavoro di cinque artisti, legati alla sperimentazione del secondo dopoguerra, che hanno indagato attraverso la fotografia il tessuto urbano di Firenze e di Pistoia. Le opere esposte, prevalentemente inedite, sono state selezionate a seguito di un lavoro di ricerca archivistica nell’ambito del progetto di censimento degli archivi d’arte contemporanea in Toscana, coordinato dall’associazione Senzacornice, e realizzato, dal 2016 al 2021, nel quadro di un accordo per la valorizzazione del patrimonio documentario firmato dalla Regione Toscana e dalla Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Toscana. L’Università per Stranieri di Siena ha stipulato per l’occasione una convenzione con la Soprintendenza, al fine di sviluppare attività didattiche e di ricerca condivise, inaugurate da questo primo progetto espositivo, volte alla promozione e allo studio dei complessi archivistici e librari toscani.

Le cinque sezioni della mostra esplorano ricerche accomunate dalla natura seriale dell’indagine fotografica e dalla lettura dell’epidermide muraria e architettonica dello spazio urbano. Fernando Melani, a partire dai primi anni del secondo dopoguerra, avvia un percorso di rilettura di Pistoia, svelandone scorci distanti da quelli ufficiali del turismo, e trame formali dal sapore astrattista; l’indole tautologica propria del mezzo fotografico si esplicita poi nel decennio dei settanta con la riflessione della tedesca Dorothee von Windheim, che interpreta l’immagine come documentazione del processo conservativo di sezioni murarie erose dal quotidiano. Una simile idea di fotografia come strumento di rieducazione dello sguardo sul capoluogo toscano, riscattato dalle anodine iconografie ufficiali del turismo di massa, è implicita anche nell’opera di Massimo Nannucci, che riscopre tracce di elementi architettonici mimetizzati nell’epidermide fiorentina; come anche negli scatti a colori di Carlo Cantini, che documenta il consumo dei muri urbani sotto il peso della lenta sedimentazione dei manifesti pubblicitari, in linea con le coeve sperimentazioni internazionali del Nouveau Réalisme. Chiude il percorso espositivo la riflessione installativa e l’indagine fotografica di Paolo Masi, attenta alla ricognizione del motivo geometrico come traccia preesistente nel paesaggio antropico, così recuperando in chiave concettuale i presupposti della riflessione astrattista a chiusura di un decennio, quello dei settanta, che ne vedrà presto l’epilogo.

Si ringraziano le seguenti figure e istituzioni che hanno collaborato generosamente alla realizzazione di questa mostra: Hubertus von Amelunxen (Archivio Conz), Lisa Baroni (Galleria Frittelli), Carlo Cantini, Paolo Masi, Massimo Nannucci, Annamaria Iacuzzi (Fondazione Pistoia Musei), Maurizio Otello (Gli Ori), Elena Testaferrata (Musei Civici di Pistoia), Lorenzo Valgimogli (Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Toscana), Dorothee von Windheim.

I. RITMI

Dal secondo dopoguerra Fernando Melani (San Piero di Agliana, 1907 – Pistoia, 1985) sviluppa, parallelamente alla propria produzione pittorica astratta, una meno nota ma altrettanto rilevante ricerca fotografica frutto delle sue escursioni nella città di Pistoia. Il suo sguardo si concentra su scorci e particolari inediti dello spazio urbano, che vengono restituiti attraverso immagini in bianco e nero dal forte impatto estetico. In linea con la propria teoria e pratica artistica indirizzata a cogliere le segrete risonanze e interazioni della materia in uno spazio carico di vettori energetici, Melani legge il paesaggio antropico urbano, con le sue trame murarie e strutture nascoste, come un universo di forme astratte che interagiscono tra loro secondo diversi ritmi, equilibri e angolazioni. Emblematiche, al riguardo, le numerose immagini dedicate ai giochi lineari delle fasce bicromatiche che scandiscono le facciate delle preesistenze architettoniche della città e che sembrano trovare una eco nei disegni a losanghe di pavimenti marmorei o nei profili zigzaganti dei tetti e delle loro gronde sporgenti. Altri scatti della serie rivelano invece una serie di interazioni e tensioni sul tema della linea curva, come la fotografia che pone a confronto, quasi in un gioco di specchi, le arcate del portico della cattedrale con la forma circolare di un elemento della segnaletica urbana. O ancora l’attenzione rivolta alle superfici murarie caratterizzate da una scacchiera di pieni e vuoti, la cui mole statica appare dinamizzata dal volo degli uccelli.
Le numerose immagini dedicate dall’artista pistoiese, nel corso degli anni, alla propria città e rimaste pressoché inedite, dovevano confluire in un libro fotografico da lui stesso ideato graficamente, ma che non fu mai portato a compimento. Di questo progetto rimane memoria nel volume Fernando Melani. Un’esperienza bio-artistica (Gli Ori, Pistoia 2010) curato dall’artista Donatella Giuntoli, che per anni si è dedicata alla schedatura e catalogazione dell’intera produzione di Melani.

Fernando Melani, Pistoia, senza data, fotografia, Musei Civici di Pistoia / Casa-studio Fernando Melani. Su concessione del Comune di Pistoia/Musei Civici, con divieto di ulteriore riproduzione.

II. STRAPPI

Dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Amburgo, nel 1971 Dorothee von Windheim (Volmerdingsen im Kreis Minden, 1945) si trasferisce a Firenze per alcuni anni, inizialmente grazie a una borsa DAAD e poi in residenza presso Villa Romana dove le è conferito nel 1975 il premio omonimo. Nel capoluogo toscano inizia a collaborare con alcuni restauratori di Palazzo Pitti, integrando nella propria ricerca la tecnica conservativa del distacco delle pitture murali; nasce la serie degli Strappi esposta nella prima metà del decennio in diverse personali: nel 1973 alla Galleria Schema di Firenze e alla Galleria Ernst di Hannover, e nel 1974 negli spazi della Galleria La Bertesca di Milano e Genova. La pratica restaurativa ottocentesca, solitamente destinata alla conservazione degli affreschi, è da lei utilizzata per proteggere e registrare sezioni di ordinari intonaci murari, staccandone delle aree grazie a uno strato di colla, steso su una garza, apposto sulla sezione parietale interessata. Le facciate delle case, sottoposte all’erosione delle intemperie, della luce e dell’inquinamento, come un’epidermide invecchiata dal tempo sono trasformate in immagini e conservate in stendardi arrotolati; oggetti estetici in cui la decadenza si ferma nell’atto del trapianto. Il procedimento è documentato da una selezione di fotografie che «servono come testimonianza» (D. von Windheim, Domus, n. 533, 1974) della tecnica applicata e del luogo di provenienza; dal primo Strappo, di un muro abbandonato presso la Fortezza da Basso di Firenze, registrato da undici scatti in bianco e nero raccolti, nel giugno del 1972, in un libro d’artista edito da Ernst Hannover in 55 esemplari. Nei due anni successivi l’artista distacca poi dalla selleria e dal magazzino della Fortezza medicea le scritte omonime che ne indicano l’ingresso, le cui lettere di un metro e mezzo, non più leggibili, sono da lei trasformate in costruzioni spaziali piatte; nella stessa area interviene nel 1975, strappando un piccolo muro di una casa con un oculo rotondo, una finestra e una porta. La ricerca evolve poi alla fine del decennio, quando l’artista smette di accogliere passivamente le impronte parietali intervenendo direttamente sullo spazio negativo del muro per creare delle forme, ad esempio eliminando i pennacchi tra gli archi di Sant’Agata e di Villa Romana, in una serie di opere esposte nella rassegna del 1977 I materiali del linguaggio dedicata alla sperimentazione tedesca presso Palazzo Strozzi.

Dorothee von Windheim, Strappo, 1975. Archivio Dorothee von Windheim, Colonia.

III. MIMETIZZAZIONI

All’inizio degli anni Settanta Massimo Nannucci (Firenze, 1946) avvia un’indagine sul tema del camouflage che sviluppa parallelamente nel campo della scenotecnica, lavorando con diversi gruppi teatrali sperimentali tra cui il Gruppo Proposte Teatrali, il Teatro Sperimentale e il Gruppo della Rocca. Nel quadro delle ricerche concettuali della seconda avanguardia, egli si avvicina alla fotografia per svelare nel tessuto urbano dettagli architettonici otticamente camuffati, così da confutare uno dei principi regolatori della propria attività di scenografo: la costruzione dell’illusione nello spettatore attraverso strutture posticce. Il tema dell’inganno ottico affiora infatti intorno al 1970, quando egli inizia a riflettere sull’importanza di rieducare lo sguardo attraverso la documentazione fotografica di trompe l’oeil presenti tra le strade e le piazze fiorentine: l’identità della città è dunque riletta tracciando una nuova cartografia di dettagli architettonici camuffati rispetto ai monumenti accentratori degli itinerari ufficiali del turismo. Nella sequenza fotografica Mimetizzazioni, avviata nel 1973, egli documenta e cataloga quindici porte nascoste nella morfologia urbana, indicando sul retro delle immagini la loro precisa ubicazione geografica, e le accosta specularmente ad altrettanti sezioni simmetriche di facciate con identiche trame architettoniche e cromie. L’occhio disattento dell’osservatore è dunque così invitato a una riflessione sulla fallacia dei meccanismi conoscitivi del reale fondati su illusioni ottiche. Questa ricerca è poi mostrata nella seconda metà degli anni Settanta in diversi formati espositivi: nel progetto mai realizzato di un libro d’artista per le edizioni ginevrine di Ecart (Mimétisme, 1976); in un film d’artista muto a colori (super 8) presentato da Nannucci durante la rassegna sul cinema d’artista Zona Film ospitata dall’aprile al giugno del 1976 nell’omonimo spazio autogestito da lui confondato a Firenze; e in occasione della XXXVIII Biennale di Venezia del 1978 nella mostra L’immagine provocata, a cura di Luigi Carluccio, presso i Magazzini del Sale alle Zattere.

Massimo Nannucci, Mimetizzazioni, 1973, fotografia, Archivio Massimo Nannucci, Firenze.

IV. STRATIFICAZIONI

Fotografo attivo dalla fine degli anni Sessanta e attento testimone delle esperienze creative della scena nazionale e internazionale, Carlo Cantini (Firenze, 1936) dedica tra il 1973-1976 ai muri urbani di Firenze il lavoro, ancora in parte inedito, intitolato La città stracciata. Nell’archivio dell’autore sono state rinvenute ad oggi venti immagini fotografiche a colori riconducibili a questa serie, che ritraggono ciascuna una diversa porzione muraria ricoperta da stratificazioni di manifesti pubblicitari e politici. Le inquadrature, sempre ravvicinate, escludono qualsiasi riferimento al contesto per concentrare l’attenzione su brani di superfici urbane occupate da immagini e scritte con diversi gradi di leggibilità. Rispetto a quanto sperimentato tra gli anni Cinquanta e Sessanta da Mimmo Rotella e Raimond Hains con i loro décollages costituiti da vari strati di manifesti prelevati dalla strada, assemblati in studio e ulteriormente lacerati, Cantini svolge in La città stracciata una ricerca in chiave eminentemente analitica attraverso il medium fotografico. Esplorando i concetti di serie, traccia e documento alla base di molte sperimentazioni coeve, l’autore sviluppa una lettura del paesaggio antropico urbano inteso come palinsesto stratificato e in continua trasformazione di messaggi visivi e verbali. La sequenza fotografica è stata proiettata per la prima volta nel 1976 alla Galleria Menghelli di Firenze con l’intervento della storica e critica d’arte Lara-Vinca Masini. Sono poi seguite, negli anni immediatamente successivi, presentazioni in altre gallerie d’arte e centri espositivi come la Galleria de’ Foscherari di Bologna e la Galleria Diaframma di Milano.

Carlo Cantini, La città stracciata, 1973-1976, fotografia, Archivio Carlo Cantini, Firenze.

V. RILEVAMENTI

Nel marzo 1979 la Galleria Schema di Firenze, fondata all’inizio degli anni Settanta e divenuta un punto di riferimento a livello internazionale per le tendenze artistiche concettuali, ospita la personale di Paolo Masi (Firenze, 1933) dal titolo Lo spazio il tempo la descrizione. Per l’occasione l’artista presenta sulle pareti della sala espositiva una serie di cornici metalliche minimali, di forma quadrata, la cui fonte di ispirazione è dichiarata dall’immagine riprodotta su uno dei due inviti alla mostra: una fotografia in bianco e nero che ritrae il gioco geometrico delle tarsie marmoree presenti sulla facciata romanica della chiesa fiorentina di San Salvatore al Vescovo. Le preesistenze del paesaggio urbano vengono così rilevate e reinterpretate dando vita a un intervento artistico tutto giocato sul rapporto tra spazio interno ed esterno, tra tempo presente e passato, tra vissuto collettivo e individuale, come ribadisce la dichiarazione riportata dall’autore su un’altra cartolina d’invito alla sua personale presso Schema: “Allinternosiamonoiconiracconticheciappartengonoechehannounastoriacomune”.
L’immagine della facciata della Chiesa di San Salvatore al Vescovo ritorna nella serie fotografica Spazi preesistenti/spazi aggiuntivi realizzata da Masi in quello stesso 1979 e rimasta pressoché inedita. Nell’archivio dell’artista sono conservati tre fogli di provino appartenenti a questa serie, in cui ricorrono inoltre alcune vedute dell’installazione di Schema, a convalida delle strette correlazioni tra questi due lavori coevi. In Spazi preesistenti/spazi aggiuntivi Masi seleziona e documenta una molteplicità di superfici, elementi geometrici e dettagli architettonici, quali rilevamenti di trame e tracce in cui si materializzano i segni di continuità o cambiamento del tessuto urbano della propria città.

Paolo Masi, Lo spazio il tempo la descrizione, 1979, cartolina d’invito dell’omonima mostra personale alla Galleria Schema (Firenze, marzo 1979), Archivio Paolo Masi - Galleria Frittelli, Firenze.

Paolo Masi, Lo spazio il tempo la descrizione, 1979, cartolina d’invito dell’omonima mostra personale alla Galleria Schema (Firenze, marzo 1979), Archivio Paolo Masi – Galleria Frittelli, Firenze.

Citazione elettronica
La pelle della città: il paesaggio antropico toscano tra arte e fotografia (1950-1980), mostra digitale a cura di Alessandra Acocella e Caterina Toschi, Archivio del Paesaggio/Landscape Archive, Centro internazionale di Studi sul Paesaggio in Toscana, Università per Stranieri di Siena.
Pubblicazione online: 7 giugno 2022
Link alla mostra: https://centropatos.it/la-pelle-della-citta-il-paesaggio-antropico-toscano-tra-arte-e-fotografia-1950-1980/