L’esperienza del viaggio e la costruzione del giardino: ricerche nelle raccolte fotografiche e librarie di Villa La Pietra

“La mia giustificazione è che sono nato e cresciuto in una tipica villa toscana, che è sempre stata abitata fin dal XV secolo, e forse anche prima, quando Francesco Sassetti la comprò. Ogni generazione ha lasciato una traccia, ma è essenzialmente toscana nella sua semplicità e adattabilità. Aprire gli occhi, fisicamente e mentalmente, in un luogo simile e vedere il giardino crescere […] ha senza dubbio influenzato la mia visione e attitudine personale.” (Acton 1970, 10)
Il giardino di Villa La Pietra fu creato agli inizi del Novecento per volere di Hortense Lenore Mitchell (1871-1962) di Chicago, sposata con il londinese Arthur Mario Acton (1873-1953). Si tratta di uno degli esempi più precoci di rivisitazione / reinvenzione del giardino storico all’italiana in Toscana, che gli studiosi hanno descritto come Renaissance Revival Garden.
Quando fu realizzato, la moda del parco romantico di gusto inglese, con composizioni informali e bucoliche ispirate alla spontaneità della natura, si era ampiamente diffusa in Toscana già a partire dai primi decenni dell’Ottocento, come dimostrano alcuni giardini lucchesi e pistoiesi e i giardini di Villa Stibbert, Castello di Vincigliata, Pratolino e delle Cascine.
Al volgere del nuovo secolo, tuttavia, la consistente presenza angloamericana in Toscana (circa 40.000 expatriates su 240.000 abitanti a Firenze e dintorni) accese un rinnovato interesse per i valori e il linguaggio del Rinascimento e, di conseguenza, per il giardino formale italiano, studiato in quegli anni da intellettuali come Janet Ross (1901), Georgina Grahame (1902), Edith Wharton (1904), Vernon Lee (1908) e George Sitwell (1909).
Negli stessi anni, in questo clima di particolare fermento, si inserisce l’ideazione del giardino di Villa La Pietra: inseguendo il desiderio di creare una cornice per la villa rinascimentale e gli Old Masters collezionati al suo interno, si volle restituire al giardino lo spirito e l’incanto degli Old Italian Gardens, tanto ammirati dai turisti angloamericani. Sia la collezione che il giardino esprimono quindi la passione per l’arte e la storia e la forte volontà della famiglia di mettere radici fra le vigne e gli oliveti, investendo denaro ed energie in un’opera che li legittimasse e imprimesse un segno indelebile nel paesaggio toscano. Una lapide commemorativa in marmo, ancora presente vicino alla Vecchia Limonaia, ricorda l’“origine” del giardino, con i nomi di Hortense Acton e del padre William H. Mitchell (1817-1910) che, comprendendo il desiderio della figlia, sostenne concretamente questa impresa ambiziosa, soprattutto in seguito alla nascita dei due nipoti, Harold (1904-1994) e William (1906-1945), che avrebbero potuto crescere nella bellezza del nuovo giardino.
Dopo due guerre mondiali, fu la lungimiranza del figlio primogenito, Sir Harold Acton a trasmettere la storia della Villa, le sue caratteristiche e il suo vissuto, ma anche, e soprattutto, la sua personalità, intrinsecamente legata all’identità del luogo (il genius loci, usando un’espressione di Vernon Lee), fino a consegnarlo alla New York University, che da trent’anni ha qui la sua sede italiana.
La raccolta libraria e la collezione fotografica di circa 25.000 immagini (inclusi dagherrotipi, ambrotipi e lastre fotografiche su vetro), datate fra il 1870 e il 1994, sono strumenti fondamentali per toccare con mano e comprendere le scelte e il gusto della famiglia Acton Mitchell. Dal 2019 NYU sta promuovendo la conservazione e valorizzazione della collezione fotografica, grazie al progetto di digitalizzazione e catalogazione, ideato e diretto da Francesca Baldry e Scott Palmer, con la collaborazione di “Centrica – Imagine More.
All’interno della collezione si conserva un gran numero di immagini che raffigurano giardini. A volte commissionate a professionisti, come Alinari, Brogi, August Sander, Locchi, a volte scattate dalla famiglia stessa, alcune immagini ritraggono luoghi esplorati in prima persona dagli Acton, altre mostrano siti non visitati, ma conosciuti soltanto attraverso cartoline e fotografie, mentre altre ancora documentano il giardino di Villa La Pietra e la sua costruzione.
Mentre le prime due categorie furono per Hortense e Arthur strumenti di formazione e crescita personale, la terza è l’espressione di una spiccata e matura volontà di documentazione, che ben si coniuga con la consapevolezza di creare, nel giardino di Villa La Pietra, un progetto di grande originalità. Soltanto registrando attentamente la trasformazione del giardino, vennero compiute le scelte più adatte di volta in volta: furono valutati i punti di vista più efficaci e fu bilanciato il rapporto fra gli elementi verdi e le sculture, creando così un dialogo pregnante tra la villa e il suo particolare contesto. Il giardino fu così ammirato dai visitatori – amici e personaggi illustri –, e divenne con il tempo anche un modello da studiare ed emulare.
La mostra digitale utilizza esclusivamente materiale storico, spesso inedito, legato alle personalità di Hortense e Arthur: fotografie, filmati, cartoline, disegni, mappe stradali, libri e alcune opere d’arte. L’obiettivo della mostra è di raccontare il giardino, dalla sua ideazione, alla sua progettazione, uso e fortuna, da una prospettiva privilegiata, resa possibile dalla ricchezza, varietà e integrità del patrimonio conservato all’interno della Villa.
Le cinque sezioni principali si snodano intorno a due momenti fondamentali. Il primo è quello della scoperta dell’Italia e dei suoi giardini storici: le sezioni I, II e III, infatti, esplorano le modalità attraverso cui Hortense e Arthur furono in grado di assimilare quei “metodi” e “principi” codificati da studiosi come Wharton e Sitwell. In particolare, la mostra vuole mettere in luce il ruolo fondamentale del viaggio nella creazione dell’immaginario della coppia: se la sezione II indaga gli strumenti del viaggio, la sezione III racconta uno degli itinerari percorsi da Hortense e Arthur a bordo della loro nuova automobile, alla scoperta degli Old Gardens dell’Italia centrale; in queste sezioni, peculiare rilievo assumono le cartoline illustrate, strumento prezioso per studiare i viaggi intrapresi dagli Acton Mitchell e le loro tappe. Il secondo momento, invece, è dedicato alla creazione del giardino: le immagini delle sezioni IV e V mostrano l’elaborazione di esperienze, immagini e parole raccolte nel corso degli anni, ma anche l’effettiva realizzazione della loro opera e l’intreccio tra la vita della famiglia e la crescita del giardino stesso. Un’ultima sezione (VI) mette a conoscenza l’attività di cura e valorizzazione da parte di NYU del giardino e del podere: dal restauro, alle visite, agli spettacoli, alle lezioni, alla produzione agricola, con un’impostazione attenta e sostenibile, in linea con i principi più moderni del giardinaggio inglese.

William e Harold nel giardino di Villa La Pietra. 1911 ca.
Fotografia, np (riproduzione da negativo) (APA I.C.2.6-140)

I. Gli Acton, l’Italia, Firenze

Nel marzo del 1903 Hortense Mitchell compì un Grand Tour nell’Italia Centrale, come si evince dalle dettagliate annotazioni a matita nella guida Baedeker che utilizzò come taccuino di viaggio e che ancora si conserva nelle raccolte librarie di Villa La Pietra. In una cartolina inviata alla madre in quell’occasione, esclamava: “È così bello tornare alla civiltà!” (“So good to get back to civilization!”), frase rivelatrice del fascino esercitato dall’Italia sulla viaggiatrice americana. La passione per l’Italia e per la scoperta di luoghi d’arte, anche minori, era dunque già molto viva in Hortense prima di eleggere l’Italia a dimora permanente. La sua vasta cultura si basava sulla conoscenza della lingua francese, tedesca e in parte italiana, come dimostrano i suoi ex libris in volumi in lingua originale di fine Ottocento, e sulla possibilità di viaggiare e conoscere il mondo, agevolata dalla fortuna accumulata dal padre William Hamilton Mitchell, costruttore di ferrovie e poi ricco banchiere di Chicago. La madre, Jane Mary detta “Jennie” Jewett Mitchell, era membro di importanti società culturali americane (tra cui la Antiquarian Society dell’Art Institute di Chicago) ed era anche lei un’amante di viaggi, come emerge dal tour in Egitto effettuato nel 1902, in compagnia della figlia Hortense e del figlio Guy. Quando Hortense sposò Arthur Acton nel maggio del 1903 e si trasferì definitivamente a Firenze all’età di 32 anni, aveva quindi già tanti bauli Louis Vuitton pieni di libri in tutte le lingue e raffinati abiti di alta moda di Parigi, città cosmopolita dove si era recata per la celebre Esposizione Universale del 1900. Anche Arthur aveva intessuto rapporti con l’Italia prima del matrimonio: nel 1900 risultava iscritto, come  allievo, presso la Scuola del Nudo dell’Accademia di Belle Arti a Firenze, ma era già ben inserito nell’ambiente dei pittori e antiquari fiorentini, come dimostra anche una fotografia dell’archivio che lo ritrae nel suo studio d’artista in via Della Robbia.
Gli anni di Firenze capitale (1865-70) avevano incrementato in modo esponenziale la presenza di “pellegrini appassionati” (Henry James), in cerca di bellezza e storia, di libertà di pensiero e abitudini, ma avevano accolto anche molti investitori stranieri: la vita a Firenze, infatti, era non soltanto piacevole, ma anche economica. Henry James lo ricordava in Italy Revisited (1877) e con una certa ironia osservava come gli stranieri cercassero di trovare rifugio nei mesi invernali in antiche residenze nella campagna toscana, affittate o acquistate a prezzi irrisori per gli standard anglosassoni: “Le ville sono innumerevoli e se siete uno straniero particolarmente sensibile, metà dei discorsi si svolge attorno ad esse. Questa ha una storia, quella un’altra e tutte sembrano possederne una propria, ma in verità nessuna particolarmente allegra” (James 2006, 153).
Anche Hortense e Arthur ambivano ad una villa e non appena sposati la cercarono sulle colline fiorentine, come sappiamo dalla corrispondenza della signora Acton con l’amico collezionista Frederick Stibbert, residente a Montughi, nei pressi di via Bolognese. Dopo un breve soggiorno a Villa Le Fontanelle, a Careggi, i coniugi Acton affittarono Villa Incontri in via Bolognese (già Mazzinghi, Sassetti, Capponi), presto ribattezzata “La Pietra”, per la presenza di una pietra miliare della Florentia romana, all’ingresso della Villa.
Hortense iniziò a documentare la sua nuova vita in Italia con un album da lei confezionato e annotato a penna, in cui si trovano le prime residenze della coppia, in particolare Villa Incontri, ripresa in una mattinata autunnale in un paio di scatti molto spontanei, catturati da Hortense e Arthur stessi.
Dopo la nascita dei due bambini, Harold nel 1904 e William nel 1906, Hortense ricevette dal padre William Mitchell una rendita cospicua che le permise nel 1907 di acquistare la proprietà, che consisteva nella villa padronale e 15 ettari di terreno con case coloniche. La rendita fu elargita anche al fratello Guy, pittore dilettante e appassionato d’arte, che nel 1908 acquistò la più piccola Villa Il Giullarino, a Pian de’ Giullari, sulla collina di Arcetri, iniziando fin da subito a restaurare la nuova residenza e a rinnovare il giardino.
Negli stessi anni, anche altri amici e conoscenti di Hortense e Arthur, italiani e stranieri residenti a Firenze, cominciarono a rinnovare (o costruire ex novo) i giardini delle loro ville, mettendo in pratica i “principi” dei giardini formali all’italiana, codificati dagli studiosi angloamericani tra fine Otto e inizio Novecento. Tra questi vi era, ad esempio, il pittore Giulio Guicciardini, che tentò di riportare all’antico splendore il giardino di Villa Corsi-Salviati a Sesto Fiorentino, la Principessa Ghyka (sorella della regina di Serbia) che promosse il restauro di Villa Gamberaia a Settignano, e Charles Loeser, americano, che nel maggio 1908 affidò al giovane architetto inglese Cecil Pinsent il restauro della sua dimora fiorentina, Villa Torri di Gattaia. Pinsent diventò il principale architetto di giardini formali ‘all’italiana’ in Toscana per committenti angloamericani, tra cui Bernard Berenson e Charles Augustus Strong, e nel 1911 elaborò anche per gli Acton un progetto, mai realizzato, per una casa da “Contadino (…) with baroque exterior”, nei pressi di Villa La Pietra.
Le immagini conservate nell’archivio fotografico illustrano il peregrinare di Hortense e Arthur nei giardini all’italiana che stavano sorgendo sulle colline di Firenze, finalizzato alla realizzazione di un ambizioso progetto: la trasformazione del parco romantico alle spalle di Villa La Pietra in un giardino all’italiana, nuovo e allo stesso tempo antico, in sintonia con l’architettura dell’edificio. Come Loeser, Ghyka e Berenson, gli Acton erano pronti a lasciare un segno indelebile sul paesaggio toscano.

Hortense a Villa Gamberaia. 1920-30 ca.
Fotografia stereoscopica (dettaglio), plg (APA VIII.D.1.10.3-1)

II. Gli strumenti del viaggio e i ‘garden books’ di Villa La Pietra

A partire dal maggio del 1903 Hortense e Arthur iniziarono ad esplorare la penisola, percorrendo i classici itinerari del Grand Tour, ma anche affrontando sentieri meno battuti dai turisti americani ed europei. La Collezione Acton offre la possibilità di conoscere a fondo gli strumenti che accompagnarono i viaggi della coppia. Gran parte dei libri, delle guide, dei travel books, delle mappe e dei fascicoli del Touring Club conservati nella biblioteca di Villa La Pietra recano gli ex libris di Hortense Mitchell, databili prima e dopo il suo matrimonio. Gli evidenti segni di usura e i marginalia mostrano il ruolo centrale giocato da questi volumi nella scoperta dell’Italia, in compagnia di amici e sempre a bordo di un’automobile, grande passione del signor Acton. Grazie alle cartoline illustrate acquistate dalla coppia e utilizzate dalla signora Mitchell come una sorta di diario di viaggio è possibile seguire le tempistiche delle loro escursioni, le strade percorse, gli alberghi in cui alloggiarono, la qualità dei pasti, il clima e le condizioni del manto stradale.
Nella Collezione Acton figurano inoltre i cosiddetti garden books: libri fotografici, saggi o trattati dedicati ai giardini storici italiani e scritti principalmente da autori angloamericani. Si tratta di volumi ricchi di fotografie ed elaborati grafici, talvolta di grandi dimensioni (fino a 44 x 35 cm), che hanno un duplice scopo: far conoscere la storia, l’evoluzione e le caratteristiche delle principali ville in Italia e condurre i garden lovers in veri e propri “pellegrinaggi” (Le Blond 1912, 138), alla scoperta della “magia” del giardino italiano (Wharton 1904, 5). In alcuni di questi testi emerge un carattere prettamente operativo: studiare i principi e i metodi adottati dagli architetti del passato era indispensabile per “applicarli alle mutate circostanze della vita moderna”, come scrisse lo studioso inglese George Sitwell, amico degli Acton Mitchell. Non sorprende quindi vedere nei garden books di Villa La Pietra appunti, schizzi e suggestioni. Libri come The Old Gardens of Italy, How to Visit Them di Mrs. Aubrey Le Blond (1912) erano uno strumento indispensabile per esplorare e comprendere a fondo i giardini del passato. Volumi come Italian Villas and their Gardens di Edith Wharton (1904) davano invece ai lettori le coordinate per creare, nel mondo contemporaneo, un vero giardino ‘all’italiana’.

La nuova FIAT di Arthur e Hortense. 1903-05.
Fotografia, gsa (APA III.A.1.1.1-33)

III. L’itinerario dei garden pilgrims: il viaggio a Orvieto, nelle ville tuscolane e del viterbese

Il mattino del 22 giugno 1908 i coniugi Acton partirono con la loro automobile Fiat da Villa La Pietra, in compagnia di due cari amici, esperti di opere d’arte e di Old Italian Gardens: gli storici dell’arte Charles Loeser e il conte Carlo Gamba, Ispettore delle Gallerie Fiorentine. I quattro, dopo una breve sosta ad Arezzo, si diressero verso Orvieto e il lago di Bolsena, per raggiungere Viterbo. Nei dintorni della città visitarono Palazzo Farnese a Caprarola e Villa Lante a Bagnaia, al tempo considerata “la più completa villa italiana, ovvero il migliore esempio di villa, tra quelle che conservano le loro forme originarie” (Platt 1894, 13). Da qui, proseguirono il viaggio verso Roma, dove trascorsero la notte del 23 giugno.
Il mattino seguente, sebbene munito di dettagliate carte stradali Touring, il gruppo fu costretto a chiedere informazioni ai passanti: sul retro di una cartolina, uno dei due Carli – probabilmente Gamba – annotò velocemente in italiano il percorso da intraprendere per raggiungere Albano, Ariccia, Castel Gandolfo e soprattutto Viterbo, Frascati e Tivoli, mete principali del viaggio. Queste, infatti, erano i must, le tappe obbligate per quei turisti angloamericani, che pochi anni più tardi Mrs. Aubrey Le Blond avrebbe definito garden pilgrims, i pellegrini dei giardini (Le Blond 1912, 138).  In quest’area geografica, infatti, si trovavano alcuni dei giardini più famosi dell’Italia centrale: quelli di Villa Mondragone, Aldobrandini, Falconieri, Lancellotti, Torlonia, Muti e d’Este.
È interessante osservare che il percorso degli Acton Mitchell non seguisse tanto gli itinerari suggeriti dalle guide Baedeker e Murray, quanto invece quelli tracciati dai garden books pubblicati in quegli anni e conservati in gran numero nella biblioteca di Villa La Pietra: possiamo immaginare i quattro amici camminare all’ombra dei cipressi di Villa Mondragone a Frascati con i volumi di Charles Platt (1892) e Edith Wharton (1904) tra le mani.
Il viaggio non fu privo di ostacoli, dal momento che molti giardini erano privati e, per la loro visita, era spesso necessario richiedere uno speciale permesso: ad esempio, giunti a Caprarola, i quattro visitarono le stanze della residenza farnesiana (“le stanze sono molto belle”), ma non riuscirono a convincere il custode a farli accedere ai famosi giardini, perché privi di un documento sottoscritto da Vincenzo Scala, amministratore dei beni farnesiani, con sede a Roma (Le Blond 1912, 138).
Nonostante il clima torrido di giugno non permettesse di godere appieno della bellezza dei giardini, in tre giorni Hortense, Arthur, Gamba e Loeser visitarono ben undici ville, portando a casa cartoline e fotografie, talvolta scattate da loro stessi, talvolta acquistate in situ dai proprietari o nei negozi di souvenir nelle vicinanze. La strada di ritorno li portò a Grosseto e a Cecina, ma il climax del viaggio era ormai alle spalle: dopo aver visto i meravigliosi giardini di Villa Lante, Villa d’Este e delle ville tuscolane, la strada che li stava conducendo a Firenze, costeggiando il mar Tirreno, appariva a Hortense “polverosa e poco interessante”.
Quello a Frascati, Tivoli e Viterbo è uno dei molti viaggi alla scoperta di Old Masters e di Old Italian Gardens. I loro “pellegrinaggi” culturali li spinsero in Toscana, in Umbria, nel Lazio, in Veneto, in Lombardia, in Sicilia, ma anche fino in Germania, Francia e Inghilterra. I viaggi furono per la coppia il primo passo per assimilare davvero l’arte e il paesaggio, per accumulare un bagaglio culturale e visivo e, soprattutto, per maturare le conoscenze necessarie a dare forma al giardino di Villa La Pietra.

Villa Lante a Bagnaia. 1908
Cartolina illustrata, fi (APA VI.D.1.3.1-12)

IV. La costruzione del giardino di Villa La Pietra

Dopo gli studi e le peregrinazioni alla scoperta di esempi superstiti di giardini storici, la trasformazione effettiva del parco romantico di Villa La Pietra in un giardino formale ‘all’italiana’ cominciò nel 1907, quando tutta la proprietà venne acquistata da Hortense. La costruzione si protrasse per decenni, raggiungendo il suo apice negli anni Venti-Trenta. Non si conosce il nome del progettista, ma crediamo che il disegno generale del giardino possa essere attribuito all’architetto toscano Giuseppe Castellucci (1863-1939), in stretta collaborazione con i proprietari, e che il pieno sviluppo della botanica a partire dagli anni Venti sia dovuto all’intervento del giardiniere Mariano Ambroziewicz.
Il giardino di Villa La Pietra non riproduce le forme di nessun specifico giardino storico italiano, ma interpreta quei “metodi” e “principi” elaborati da autori come Edith Wharton e George Sitwell. Quello di Villa La Pietra è un giardino architettonico, il cui impianto è caratterizzato da elementi lapidei e da siepi di sempreverdi, che permettono al giardino di restare pressoché invariato con l’alternarsi delle stagioni. Questo non significa che il giardino di Villa La Pietra sia del tutto privo di fiori, ma, come scrisse Wharton, “il giardino non esiste per i suoi fiori, sono i suoi fiori ad esistere per il giardino”. (Wharton 1904, 5)
Il pendio a est della villa è suddiviso in tre terrazze, come in molti modelli rinascimentali (Hamlin 1902, 30), ed è ripartito in ‘stanze’ che rendono domestica la dimensione degli ambienti. Come sottolineato nei garden books di inizio Novecento, un giardino all’italiana è parte integrante dell’abitazione e quello di Villa La Pietra non fa eccezione, dal momento che gli spazi esterni riflettono le suddivisioni interne della casa, le loro dimensioni e proporzioni. “Una casa che contiene una sola enorme stanza sarebbe meno interessante e meno funzionale di una divisa secondo le varie esigenze di coloro che vivono al suo interno”, scrisse Wharton: con queste parole, la scrittrice americana criticava l’“annichilimento dei confini” nei giardini all’inglese, come quello che occupava il pendio orientale di Villa La Pietra prima dell’intervento degli Acton Mitchell, e esaltava “il valore della suddivisione degli spazi” nei giardini storici italiani (Wharton 1904, 46-47).
Le stanze principali del giardino di Villa La Pietra sono allineate all’asse dell’abitazione e si sviluppano intorno a fontane e vasche d’acqua, che giocano un ruolo centrale nel disegno del giardino, nonostante la carenza d’acqua nel sito. Intorno alle fontane, le siepi squadrate di bosso o tasso definiscono le forme delle aiuole (flower-beds). Negli ambienti secondari è lasciato più spazio ai tappeti erbosi (bowling green), solitamente delimitati da muri di sempreverdi (cipressi) che raggiungono un’altezza di oltre tre metri. Questi, insieme a elementi architettonici di spoglio, sapientemente assemblati in punti strategici del giardino, inquadrano spettacolari vedute sul paesaggio circostante, come quella denominata Vista del Duomo. Al giardino propriamente formale si contrappongono alcune aree caratterizzate da una vegetazione più fitta e “selvatica”, che fornisce “un rifugio ombroso e appartato” nelle stagioni estive (Hamlin 1902, 30-31). Il continuo passaggio da ambienti aperti e luminosi ad altri più freschi e riparati, come la Pergola delle Rose, crea un effetto di “sorpresa improvvisa ed elettrizzante, di stretta reclusione come preludio a una libertà sconfinata”, usando le parole di George Sitwell (Sitwell 1909, 28).
Le statue del giardino di Villa La Pietra, solitamente posizionate su alti piedistalli lapidei, contribuiscono a dare carattere ai diversi ambienti. Questo accade, ad esempio, nel Teatrino costruito a partire dagli anni Venti, in cui alcune “figure Veneziane di Francesco Bonazza (…) avanzano (…) quasi stessero per recitare una commedia di Goldoni”, come ricorda Harold Acton (Acton 1973, 148).
Certamente si intendeva ricreare sul colle di Montughi un giardino ‘all’italiana’, ma alcune caratteristiche intrinseche della cultura inglese filtrarono nel disegno del giardino. Ad esempio, i pavoni modellati nelle siepi di bosso nel Piazzale a ovest della Villa erano un elemento distintivo del giardino storico inglese, rielaborato a inizio Novecento da giardinieri e progettisti Arts and Crafts. A questo proposito, è interessante ricordare che nella biblioteca di Villa La Pietra si conservano molti libri sui giardini formali inglesi: in alcuni di questi sono visibili appunti, disegni e annotazioni di Hortense e Arthur, e, perché no, dei piccoli William e Harold che fin dall’infanzia svilupparono una particolare sensibilità per la natura e un forte attaccamento al giardino, che cresceva insieme a loro.

Giardino in costruzione, Seconda Vasca. 1910 ca.
Fotografia, csa (APA II.A.3.3-106)

V. La vita del giardino

“La vera bellezza non è né nel giardino, né nel paesaggio, ma nella relazione di entrambi con l’individuo. Ciò che cerchiamo non è soltanto una scenografia per fontane, specchi d’acqua e parterre, ma lo scenario della [nostra] vita” (Sitwell 1909, 39). Ancora in costruzione, il giardino di Villa La Pietra divenne lo scenario della vita degli Acton: un luogo di riposo e svago, dove far crescere i bambini, “un rifugio claustrale dalle battaglie della vita”, ma anche un luogo per “dare piacere agli altri e condividere il piacere con gli amici” (Sitwell 1909, 46-47, 87-88).
Nel giardino di Villa La Pietra, Hortense e Arthur coltivarono le loro amicizie, organizzarono spettacoli, feste e ricevimenti, cui presero parte personaggi illustri italiani e stranieri come la regina Sofia di Prussia, Tamara de Lempicka, Francesca d’Orsay, Irene Langhorne Gibson, Misia Sert, Lewis Einstein, Ernesto Fabbri, Umberto Brunelleschi, i Sitwell, gli Antinori, i Costantini, i Guicciardini e tanti altri.
La Pietra era anche un fertile luogo di produzione agricola: il podere che circonda ancora oggi la residenza Acton Mitchell  impegnava molti lavoratori (contadini-giardinieri fissi e collaboratori esterni chiamati al bisogno) e le coltivazioni nell’orto – detto Pomario – assicuravano alla famiglia e ai mezzadri verdura e frutta. Le numerose piante di agrumi in vaso venivano protette dalle rigide temperature invernali nella Limonaia settecentesca e venivano apprezzate per il colore, il profumo e il loro valore estetico. La Pietra, oggi come allora, non era un luogo inerte, ma una realtà pulsante, che cresceva e cambiava all’alternarsi delle stagioni rendendo la residenza degli Acton Mitchell “una pagina di un vecchio romanzo, un episodio di una fiaba, un cancello attraverso cui l’immaginazione, innalzata sopra la tetra realtà della vita, può passare in un mondo di sogno” (Sitwell 1909, 47).
Gli anni Venti rappresentano il momento della definitiva affermazione e notorietà di Villa La Pietra e del suo giardino. Nel 1922, La Pietra comparve nelle pagine di Villas of Florence and Tuscany dello studioso americano Harold Donaldson Eberlein, a fianco di ville illustri, come Poggio a Caiano, Villa Palmieri e Corsi Salviati (Eberlein 1922, 323-41). Nel 1925 uscì lo splendido volume illustrato Italian Garden of the Renaissance di due giovani architetti inglesi, John Shepherd e Geoffrey Jellicoe: anche in questo caso il giardino di Villa La Pietra trovò spazio, con fotografie e disegni (Shepherd Jellicoe 1925, 106-08).
Pochi anni dopo, la landscape architect americana Rose Standish Nichols descrisse la residenza di Hortense e Arthur come uno dei migliori esempi di Italian Pleasure Gardens della penisola: “poche ville fiorentine possono vantare così tante attrazioni, come La Pietra”. (Standish Nichols 1928, 118-22) Presto anche gli studiosi italiani riconobbero la rilevanza del giardino: fotografie di grande qualità commissionate dagli Acton Mitchell ai Brogi furono esposte all’ambiziosa Mostra del Giardino Italiano tenutasi a Palazzo Vecchio (a cura di Ugo Ojetti, Carlo Gamba e Nello Tarchiani) nella primavera del 1931. Per l’occasione, il giardino fu aperto al pubblico, insieme a Villa Gamberaia, Palmieri, Salviati e alle celebri residenze medicee di Careggi, Petraia e Castello.
Così come Hortense e Arthur avevano percorso la penisola alla scoperta degli Old Italian Gardens, nel 1931 Villa La Pietra divenne una meta di ‘pellegrinaggio’ per gli amanti dei giardini: Villa La Pietra stessa era diventata un Old Italian Garden.

Un ricevimento nel giardino di Villa La Pietra, in occasione di uno spettacolo nel Teatrino. Locchi, giugno 1927
Fotografie, gsa (APA III.A.7.1.7-18_V)

Gli Acton Mitchell e gli amici nel giardino di Villa La Pietra
Filmato, 1925-30 ca. (APA)

VI. Dagli Acton Mitchell a NYU

Ricordando l’anno 1936, Harold scrisse: “Dalle terrazze della Pietra potevi godere l’illusione di trovarti lontano dal fascismo. Portando lo sguardo in linea d’aria sulla Villa Palmieri oltre la valle, contemplavi il luogo del ‘Decamerone’, sereno riparo da una pestilenza d’altra specie” (Acton 1965, 417). Purtroppo la quiete del giardino dietro le mura della residenza degli Acton durò ancora per poco. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Villa La Pietra e tutti i suoi beni furono confiscati alla proprietaria Hortense Mitchell, poiché, in quanto americana, nel 1941 fu dichiarata nemica del regime. La famiglia dovette lasciare in fretta la casa e i due figli, allora in Cina (Harold) e in Inghilterra (William), furono costretti ad arruolarsi nell’esercito britannico. La dimora, le sue collezioni e il giardino, nonostante situati sulla strada verso il Passo della Futa che vide avvicendarsi i tedeschi e poi gli inglesi, furono incredibilmente protetti dalla “provvidenza”, dalle “suore carmelitane del vicino convento” e dal “buon vino”, che i contadini offrivano ai soldati di passaggio, come narra Harold (Acton 1965, 13). Inoltre lo stato italiano aveva notificato la Villa (con gli ‘ornamenti’ e gli arredi) e il giardino nel 1939 e questo permise a Hortense Mitchell  di riavere le sue proprietà, dopo la vittoria degli Alleati. Dopo la morte del giovane fratello William (1945) e del padre (1953), madre e figlio trovarono lentamente la forza di riportare nel giardino quell’armonia e quello spirito vitale che lo avevano contraddistinto negli anni Venti. Fu soprattutto Harold a comprenderne l’unicità e dunque a decidere, come il Candide di Voltaire, di tornare a “coltivare il suo giardino” e cercare qui, ove era nato, la vera bellezza, inseguita per anni fino in Cina. Anche se non intraprese restauri radicali, lasciando il verde crescere naturalmente, forse anche in modo troppo libero, si sentì investito dell’oneroso compito della sua manutenzione e quindi valorizzazione, come raccontano le moltissime fotografie degli anni Sessanta-Ottanta, con ospiti e visitatori da tutto il mondo. In quegli anni Harold si dedicò anche allo studio e pubblicazione di articoli dedicati al giardino e a un volume su ville e giardini toscani storici (1973), scegliendo con cura quelle in cui aleggiava ancora lo spirito dei proprietari che vi avevano vissuto.
La personalità di Sir Harold – ricevette il titolo di ‘Sir’ nel 1965 – e quella di Villa La Pietra finirono per sovrapporsi: l’esteta, come amava definirsi, finì per essere ricordato tanto come curatore della creazione dei genitori, quanto per i suoi stessi scritti. Il lascito alla New York University fu pianificato con cura già dalla fine degli anni Cinquanta da Hortense e poi portato a termine da Harold, prendendo a modello ciò che aveva fatto Bernard Berenson con I Tatti (donata alla Harvard University) e con l’obiettivo di conservare e trasmettere Villa La Pietra nella sua interezza di dimora antica, collezioni d’arte in essa contenute, giardino e podere. Acton espresse il desiderio che dopo la sua morte (1994) la tenuta venisse utilizzata come luogo di incontro in cui studenti, docenti e ospiti potessero studiare, insegnare, scrivere e fare ricerca, e come centro per collaborazioni italiane e internazionali, come quello con l’Università di Firenze, l’Istituto Europeo o con le altre scuole di New York University.
Seguendo il progetto di restauro del giardino Landscape Master Plan (1998), a cura dell’architetto paesaggista inglese Kim Wilkie e supervisionato dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Firenze (Mario Lolli Ghetti e Giorgio Galletti), il giardino dopo 25 anni di lavoro sta lentamente tornando com’era negli anni Venti-Trenta, considerato il momento più compiuto e significativo della sua storia moderna.
Grazie al lavoro di giardinieri locali coordinati dal botanico inglese Nick Dakin Elliot, eredi diretti delle maestranze che lavoravano ai tempi degli Acton Mitchell, le diverse ‘stanze’ del giardino sono state restaurate con un soft touch, ovvero riportando in luce la precisione delle forme, tramite le potature del verde, la sostituzione delle vecchie piante e il riallineamento delle viste, senza far svanire la magia, quindi preservando in parte la patina del tempo sui manufatti scultorei. Visite guidate, corsi di disegno e di fotografia, spettacoli, concerti, letture e cura dell’orto sono attività che, grazie all’impegno della NYU, si svolgono regolarmente, coniugando la tradizione toscana nella cura del giardino e con una visione dinamica e diversificata dell’università americana.

Il restauro delle statue nel giardino di Villa La Pietra. Francesca Baldry, 2016
Fotografia digitale (NYU Florence)

Harold Acton parla del Teatrino di Villa La Pietra, 1976
Filmato, 1976, estratto da BBC Television Program Aquarius 1976. (APA)

Giornalista: "Questo delizioso piccolo teatro, sul cui palcoscenico siamo ora seduti, fu progettato come un teatro, per spettacoli?"

Sir Harold Acton: "Sì, originariamente mio padre sperava di avere una sua compagnia qui, credo. Ma ai tempi eravamo soltanto scolaretti allora. Frequentavo una scuola mista, Miss Penrose’s, che aveva sia bambini che bambine, soprattutto italiani. Ci siamo esibiti in ‘Sogno di una notte di mezza estate’ e molte piccole commedie di quel tipo, quando ero ancora giovane. Quindi era stato concepito come un teatro."

Testi citati e fotografati
Murray 1867: John Murray. A Handbook for Travellers in Central Italy. Including Lucca, Tuscany and its Off-lying Islands, Florence, Umbria, the Marches, part of the Patrimony of St. Peter, and the Island of Sardinia. 7th edition, completely revised. London: J. Murray, 1867. (LPL: STDLO 3085)
Murray 1883: John Murray. A Handbook for Travellers in Northern Italy: Comprising Turin, Milan, Pavia, Cremona, the Italian Lakes, Bergamo, Brescia, Verona, Mantua, Vicenza, Padua, Venice, Ferrara, Bologna, Ravenna, Rimini, Modena, Parma, Piacenza, Genoa, the Riviera and the Immediate Towns and Routes. 15th edition, completely revised. London: J. Murray, 1883. (LPL: STDLO 3084)
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Platt 1908: Dan Fellows Platt. Through Italy with Car and Camera. New York and London: The Knickerbocker Press, 1908. (LPL: MAIN 1020)
Reynolds-Ball 1908: Eustace Reynolds-Ball. Rome, A Practical Guide to Rome and its Environs. Second Edition. London: Adam and Charles Black, 1908. (LPL: MAIN G11892)
Sitwell 1909: George Sitwell. An Essay on the Making of Gardens, Being a Study of Old Italian Gardens, of the Nature of Beauty, and the Principles Involved in Garden Design. London: John Murray, 1909.
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Shepherd Jellicoe 1925: J.C. Shepherd and G.A. Jellicoe. Italian Gardens of the Renaissance. London: Ernest Benn Limited, 1925.
Standish Nichols 1928: Rose Standish Nichols. Italian Pleasure Gardens. London: Williams & Norgate Ltd., 1928. (LPL: G12013)
Mostra 1931: Comune di Firenze. Mostra del giardino italiano, Catalogo. Seconda edizione. Firenze: [Tipografia E. Ariani], 1931. (LPL: STDLO 4274)
Acton 1948: Harold Acton. Memoirs of an Aesthete. London: Methuen, 1948. (VLP CO)
Acton 1965: Harold Acton. Memorie di un esteta. Traduzione di M. Bonsanti. Milano: Garzanti, 1965. (VLP CO fotocopie)
Acton 1970: Harold Acton. More Memoirs of an Aesthete. London: Methuen, 1970. (LPL: SOPRA 4540)
Acton 1973a:  Harold Acton. Ville Toscane. Firenze: Becocci Editore, 1973. (VLP CO, dono)
Acton 1973b:  Harold Acton. Tuscan Villas. London: Thames and Hudson, 1973. (VLP CO: NA 7594.A39)
James 2006: Henry James. Ore Italiane (traduzione di Claudio Salone). Milano: Garzanti, 2006.

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